Brexit: quattro scenari per la logistica

12 Febbraio 2019

L’uscita di un paese membro dall’Unione europea, in questo caso il Regno Unito, non è in alcun caso una buona notizia. Il mancato accordo tra l’Ue e il Regno Unito costituisce senza dubbio un momento di grande incertezza sul futuro e sugli impatti che potrà generare. Le prospettive di un’intesa commerciale fair erano state faticosamente intraviste, ma se saltano, il post brexit potrebbe essere assai diverso da come lo avevamo immaginato finora e gli impatti sulla logistica molto complessi: talmente complicati che già molti spedizionieri stanno approntando nuove procedure in caso di hard brexit.
Massimo Marciani, Presidente di Freight Leaders Council delinea quattro possibili scenari per la logistica:
– Una brexit soft sorretta da un accordo con l’Ue con area di libero commercio e mantenimento della rappresentanza nel Regno Unito nelle agenzie per la sicurezza, per l’ambiente, etc.;
– Nessun accordo con l’Ue, ma applicazione delle regole del WTO (World Trade Organization) che comporterebbero frontiere con nuove procedure di transito, possibili tariffe e dazi con maggiori costi per la logistica;
– Nessun accordo con l’Ue, ma intese bilaterali di libero commercio per la circolazione di beni e servizi con possibili dazi e tariffe da stabilire successivamente
– Hard brexit: nessun accordo con la conseguente istituzione di frontiere fisiche, dazi e tariffe.
Senza contare poi gli impatti devastanti in termini di condivisione delle informazioni e dei dati (penso alle dogane appunto), alla sicurezza, alla tutela dell’ambiente e del lavoro.
Per quello che riguarda l’Italia, in termini di scambi commerciali, anche se il Regno Unito è un partner importante, abbiamo un fatturato di circa 24 miliardi di euro, pari al 5% del nostro export.
Altri paesi (Irlanda, Belgio, Olanda, Francia e Germania) affronteranno situazioni più difficili della nostra. Ma la situazione più grave la vivrà il Regno Unito che subirà danni dal punto di vista commerciale, con penalizzazioni sulla manodopera specializzata, obbligherà i propri cittadini a sostenere più costi per alimenti e bevande (+27-35%), per le bevande zuccherine (+30%), per carne, cereali, olio e vino (import dall’Italia per 3,5 miliardi euro). Senza considerare tutte quelle multinazionali che hanno scelto il Regno Unito come sede principale, ma che hanno una catena del valore che si estende su tutta l’Unione europea, come per esempio Airbus con circa 14.000 addetti in Inghilterra, JP Morgan, Goldman & S. Morgan S.
Come spesso accade, accanto alle difficoltà che senza dubbio incontreranno le imprese italiane che esportano in UK, si intravedono all’orizzonte anche interessantissime opportunità legate alla necessità per gli investitori stranieri di rilocare i propri investimenti all’interno dell’Unione europea: parliamo, stando a uno studio di Confindustria (2018), di circa 282 miliardi di euro in dieci anni con una quota che potrebbe essere intercettata dal nostro Paese pari a circa 26 miliardi di euro, pari a circa lo 0,4 del PIL.

Fonte: Freight Leaders Council